Interessante articolo
sulla situazione economica degli Stati Uniti e sul Mercato
Immobiliare Americano, tratto da Repubblica
Usa, lo scampato pericolo della crisi sfiorata nel mercato
immobiliare
EUGENIO OCCORSIO
Wall Street procede a singhiozzo. La settimana
scorsa, è vero che il Dow Jones ha fatto segnare il nuovo record
storico (è accaduto mercoledì a quota 12.621,77 ed è stata la
44esima volta negli ultimi dodici mesi) ma ha anche conosciuto la
maggior perdita in un giorno solo dallo scorso novembre (e questo
è successo lunedì con un 0,85%). E il Nasdaq continua a rimanere
sottotono, con cadute anche brusche in coincidenza con i sempre
più frequenti profit warning delle imprese di tecnologia, senza
riuscire a superare quota 2.500 che poi non sarebbe neanche la
metà di quanto valeva nel 2000 quando arrivò a 5008,9 (il 12 marzo
di quell’anno), un livello che oggi sembra perso fra le stelle.
Insomma, bisogna preoccuparsi? «Direi di no. Preoccuparsi no, anzi
ad ogni scrollata verso il basso delle quotazioni bisogna stare
attenti e pronti a scattare perché si creano buone possibilità di
acquisto», risponde Allen Sinai, il più prestigioso guru di Wall
Street oggi in attività, già consulente di Clinton e Bush padre,
attualmente presidente di Decision Economics, vera boutique della
consulenza che vende pareri pagatissimi ad aziende e capi di stato
di mezzo mondo. «Certo, non bisogna neanche farsi illusioni: i
mercati azionari non sono portati in questo momento a brusche
impennate verso l’alto, e nemmeno a periodi di rialzo troppo
prolungati. Ma succede sempre così quando un’economia vive nella
consapevolezza di aver superato il picco, che potrebbe essere la
metà o forse un po’ oltre, di un grande periodo di espansione».
Come un cinquantenne, insomma, che è consapevole di aver imboccato
la china discendente? «Diciamo così, ma vorrei fugare un dubbio:
non c’è più pericolo di recessione».
Come "non c’è più pericolo"? Perché, gli Stati Uniti sono stati
sull’orlo della recessione?
«C’è stato un momento molto difficile nella seconda metà dell’anno
scorso, in coincidenza con il momento più critico del mercato
immobiliare. Forse in Europa non ci si rende conto dell’importanza
e della centralità di questo mercato in America. Ad esso è legato
tutto, a partire dai consumi che sono continuamente rifinanziati
dai prestiti ulteriori che le banche erogano a fronte di
rivalutazioni dell’appartamento, per cui serve che questo si
rivaluti senza soste».
Un circuito diabolico, allora?
«Semplicemente un meccanismo in virtù del quale si finanzia la
maggior parte dei consumi americani, che sono il motore
dell’economia. Per questo, quando si guarda all’economia nel suo
complesso, bisogna sempre tenere d’occhio con particolarissima
attenzione il mercato immobiliare. Non a caso durante il 2006
l’economia americana è come atterrata su una pista fatta di una
crescita più bassa, a causa di una violenta e brusca discesa delle
quotazioni e delle costruzioni di case. Poi per fortuna non è
andata fuori pista».
Perché? Quale miracolo è successo?
«Nessun miracolo. Il settore immobiliare è andato, esso sì, in
recessione. Ma per fortuna, è stata una recessione breve, che non
ha fatto in tempo a contagiare tutta l’economia che pure ne è,
come dicevo, estremamente dipendente. E’ successo che dopo cinque
trimestri consecutivi di prezzi delle case in caduta, e
specialmente due trimestri di picchiata violentissima
nell’apertura di nuovi cantieri di costruzioni residenziali, il
tutto si è normalizzato. Sembra già passata la crisi insomma. Gli
indicatori si sono stabilizzati sui nuovi livelli inferiori. Si è
arrestata la caduta, prima di quanto ci si attendesse, anche se
non c’è risalita. L’economia di conseguenza ha fatto lo stesso.
Livelli inferiori ma comunque positivi e tendenzialmente di
sostanziale tenuta. Nelle ultime settimane è ripresa la domanda di
mutui, sia per comprare nuove case che per rifinanziarsi con il
metodo di cui parlavo, le previsioni per l’apertura dei nuovi
cantieri sono tornate rosee, le stesse aspettative dei costruttori
sono di nuovo ottimistiche, il rapporto fra case invendute e
quelle che invece hanno un mercato sta mostrando miglioramenti.
Vorrei fare una precisazione: l’economia dipende delle case,
abbiamo detto. Se crolla il mercato immobiliare, crolla tutto.
Però in questo caso è successo anche, a leggere con attenzione gli
avvenimenti, che una serie di fondamentali molto solidi
dell’economia ha fornito come dire una spalla alla crisi
immobiliare».
E quali sono stati questi elementi di tenuta che hanno contribuito
a tenere tutto il piedi?
«Fra questi fattori sicuramente, come evidenziato dai più recenti
rapporti e soprattutto da quello di dicembre, il mercato del
lavoro, che ha retto molto bene. Le assunzioni sono continuate a
ritmo sostenuto, i salari non hanno arrestato un sano percorso di
crescita, non si è diffusa insomma alcuna preoccupazione da questo
punto di vista, e quindi i consumi non sono crollati, mentre è
addirittura migliorata la capacità di risparmio, il che per
l’America è importante. Lo stesso forte mercato azionario e uno
scenario di tassi stabili sia sul lungo che sul breve termine,
uniti con la stabile crescita nei redditi di cui parlavo, hanno
contribuito ad arrestare la caduta dei valori immobiliari. Che
così ha avuto sì conseguenze negative sull’economia nel suo
complesso ma piuttosto limitate. La crescita Usa è scesa dal 4 al
2,5% ma lì si è fermata e non è andata più giù come si temeva. Se
la crisi immobiliare fosse andata oltre, sarebbero scattati i guai
peggiori».
E’ come se i due pilastri dell’economia, real estate da un lato,
con annessi i consumi, e i mercati dall’altro, si siano sostenuti
a vicenda. Tutto passato, allora?
«Intendiamoci, restano alcuni elementi di incertezza e di
tensione. Sui mercati, per esempio, è quasi sfumata l’illusione
che la Federal Reserve cominci da quasi subito ad abbassare i
tassi. Il trend, anche internazionale, è ormai verso tassi alti e
stabili. Forse, ma manca la certezza, verso la fine dell’anno si
potrà riparlarne, ma io non ci credo più molto e chiunque si fosse
fatto illusioni ha dovuto ricredersi. Per questo a Wall Street, e
anche sulle altre borse che vi fanno riferimento, non si assisterà
a picchi di rialzo per tutto quest’anno. C’è anche da far
attenzione ai bilanci di molte aziende, che probabilmente non
ripeteranno gli exploit degli ultimi anni, se non altro perché di
spazio per ulteriori recuperi di produttività ne è rimasto poco.
Proprio per questo, le aziende tendono a spendere progressivamente
di più per i propri dipendenti. Un altro terzo fattore da tenere
d’occhio è che molti mercati al di fuori degli Stati Uniti stanno
andando piuttosto bene, e quindi sottraggono liquidità
dall’America anche per il dollaro debole, che tra l’altro
continuerà ad essere estremamente sottovalutato e forse peggiorerà
ancora. Infine, rimane sempre, silente ma insidiosa, la
consapevolezza che in un mercato del lavoro così saturo come
quello americano, un po’ di inflazione si riaccenderà perché gli
imprenditori dovranno cominciare a pagare di più i dipendenti pur
di accaparrarsi i migliori. E questo non potrà avere conseguenze
in termini di redditività per le aziende oltre che come dicevo di
riaccensione dell’inflazione».
A questo proposito, il maggior rischio l’ha comportato però, fra i
fattori esterni di inflazione, il prezzo del petrolio. Non è vero?
«Certo, e il fatto di averlo visto scendere di oltre 20 dollari
dai massimi storici di quasi 80 raggiunti a metà anno, è stato un
indubbio vantaggio per tutti: per i consumatori che hanno visto
aumentare il loro potere d’acquisto, per le aziende sotto forma di
riduzione dei costi di produzione, anche per i governi che hanno
avuto maggior libertà di manovra nel decidere eventuali
agevolazioni fiscali. Mentre questa del petrolio resta sempre una
wild card (imprevedibile, ndr) al momento di tracciare gli outlook
economici, noi come Decision Economics suggeriamo un prezzo di
riferimento di 60 dollari al barile per il 2007. Se i prezzi
dell’energia resteranno relativamente stabili, ne guadagnerà
l’intera economia mondiale».
Quindi, in conclusione, per tutto il 2007 possiamo stare
tranquilli?
«Sì, purché non ci si facciano troppe illusioni e si tenga
d’occhio con attenzione maniacale il mercato immobiliare Usa.
Tutto s’incentra lì».